Il paese dell’Europa orientale, la Bielorussia, continua a lottare contro una repressione implacabile, tre anni dopo le proteste che hanno scosso il paese. Il presidente Aleksandr G. Lukashenko, dopo aver dichiarato la vittoria in un’elezione presidenziale ampiamente contestata e aver soffocato le proteste indignate con violenza, ha dato inizio a un periodo di repressione spietata che sembra non avere fine.
Le strade sono diventate luoghi pericolosi per chi osa sfidare il regime, con le forze di sicurezza bielorusse che scatenano una caccia alle streghe contro figure dell’opposizione, giornalisti e attivisti. La disapprovazione del governo di Lukashenko, espressa anche in modi apparentemente innocui, può portare a lunghe pene detentive, senza lasciare scampo nemmeno a chi commenta sui social media o ha partecipato a proteste antigovernative nel passato.
Coloro che si riconoscono nel movimento di protesta, identificato dai colori rosso e bianco, rischiano di essere perseguitati e imprigionati, anche solo per indossare simboli che rappresentano la lotta per la libertà e i diritti. Persino fotografie di tre anni fa delle manifestazioni contro il governo possono essere utilizzate per arrestare individui, dimostrando il controllo onnipresente e spietato delle autorità.
La situazione è così oppressiva che molti giornalisti hanno perso le loro licenze o hanno abbandonato la professione o il paese per paura di rappresaglie. Le notizie indipendenti sono state criminalizzate, e seguire i giornalisti e le associazioni di giornalisti sui social media è diventato un reato. Al momento, 36 giornalisti sono rinchiusi in carcere, secondo l’Associazione Bielorussa dei Giornalisti, e le persone possono essere condannate fino a sette anni di prigione solo per aver condiviso contenuti di Radio Free Europe/Radio Liberty, un’organizzazione che il governo bielorusso ha bollato come “estremista”.
La situazione è diventata particolarmente critica dopo l’invasione della Russia in Ucraina, poiché il presidente Lukashenko ha stretto ulteriormente i rapporti con il suo omologo russo, Vladimir V. Putin. La Bielorussia ha consentito al Cremlino di invadere l’Ucraina dal suo territorio, e sono emersi rapporti che suggeriscono che il paese ospiti forze del gruppo paramilitare russo Wagner. Questi eventi hanno portato a una crescente attenzione internazionale sulla situazione in Bielorussia.
Attivisti e gruppi per i diritti umani hanno identificato quasi 1.500 prigionieri politici nel paese, mentre altre 1.900 persone sono state condannate a processi penali politicamente motivati. Tra le vittime della repressione ci sono anche figure dell’opposizione ben note, come Maria Kolesnikova, le cui condizioni e ubicazione sono sconosciute da mesi.
Nonostante l’aspetto apparentemente ordinario delle strade e delle piazze di Minsk, i residenti sanno che le telecamere di sorveglianza con riconoscimento facciale controllano costantemente le loro attività quotidiane. La città è pulita e moderna, ma la sensazione di oppressione è palpabile, con la repressione che ha spinto molte persone a lasciare il paese, cercando rifugio altrove.
La Bielorussia si trova in una fase oscura e pericolosa, con la repressiva macchina governativa che si è trasformata da un’autocrazia morbida a un neototalitarismo spietato. La comunità internazionale deve fare sentire la sua voce contro tali violazioni dei diritti umani e deve continuare a sostenere coloro che cercano libertà, democrazia e giustizia in Bielorussia. Solo con la pressione e la solidarietà internazionale si può sperare di porre fine a questa tragica situazione e portare un raggio di luce nella vita di milioni di bielorussi oppressi.